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G. BERCHICCI
Un quotidiano riporta l'elenco delle sale
cinematografiche della città, con i titoli dei films in
progammazione, e a-volte- le iniziali degli interpreti;
oppure, una frase estrapolata da un contesto più ampio,
nella quale si fa riferimento ad un annuncio
pubblicitario su internet, alle chat line...
Di converso, la pittura è affiancata al giornale, in un
contrasto volutamente stridente, come a sottolineare una
sorta di alterità nei confronti del mondo voluttario e
sfuggente delle notizie di stampa: pennellate di colore,
informali, materiche, che rimandano a sentimenti
introspettivi, profondi, si aprono misteriosamente ad un
linguaggio che cattura una visione "saporosa"
della vita, delineano un percorso scavato nell'essenza
dell'io.
Tre piccoli dittici, di raffinata esecuzione, sono lo
strumento al quale Ernesto Liccardo affida una sua
ipotesi di "Identità della comunicazione":
che, certo, non può essere sola, né può prescindere da
tutto quanto è stato già evidenziato finora.
Questi tre lavori, quindi, sono una sintesi
sufficicentemente esplicativa costituita da simboli
inequivocabili: il lato tecnologico, per così dire, si
articola nel giornale, nel cinema, nella comunicazione
offerta dalla scrittura, nel riferimento voluto al
virtuale computerizzato.
La pittura, invece, vive di sé, di una manualità che
racconta, nell'avvilupparsi della pennellata, dei
sentimenti che albergano in ciascuno di noi; la pittura
vive del linguaggio del colore, della sua necessità di
dover rappresentare l'intraducibile, l'invisibile che ci
sfugge dalle dita come sabbia del deserto, che non si
contrappone a nessuna delle identità tecnologiche della
comunicazione: ci si affianca, in una sirta di
imprescindibile complementarità, come a voler sollevarci
dalla necessità di vivere.
Isernia, 1.03.2000
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